lunedì 4 agosto 2008

Viaggio in metro (di Simone Seri)


Cielo azzurro intenso. Dalla piazza assolata scendo le scale che portano verso la metropolitana.
Gradino dopo gradino mi lascio la luce alle spalle e sprofondo inghiottito dal buio. E' un altro mondo. Mi infilo nel brulicare disordinato degli esseri che lo abitano. Sembrano formiche: frettolosi, sguardo basso, movimenti spasmodici. Riescono ad evitare i propri simili non so come. La scala mobile li aspetta e poi li insegue, ma loro vanno più forte, quasi scivolandoci sopra. Corridoio basso e profondo, neon ronzanti tremolanti sui due lati.
Un ragazzo mi viene incontro, fa l'inchino e porge un bicchiere: chiede una monetina. In cambio il suo amico suona una chitarra. Passo dopo passo sul linoleum sudicio sono quasi alla piattaforma. Tutti mi superano. E' una gara, ma non partecipo. Al traguardo, mi guardo intorno con aria di sufficienza. Solita domanda: hanno davvero così tanto da fare? Tabellone luminoso: un minuto all'arrivo del treno. Sopraggiungono altre formiche. L'enorme pancione di una ragazza magrissima sembra sul punto di scoppiare. Un bambino mette la punta di un piede oltre la striscia gialla, sfidando lo sguardo severo della mamma. Un ragazzo inginocchiato termina la sua preghiera, ignorato. Le formiche non indugiano con lo sguardo, non sono neanche curiose.
Da altoparlanti gracchianti una musica appena comprensibile. Sui binari cartacce e tappi di bottiglia, ma niente mozziconi di sigaretta. Prima ce n'erano tanti. In fondo alla galleria buio pesto all'infinito. Poi due puntini di luce. Si dilatano velocemente. Le formiche se ne accorgono, avanzano e prendono posizione. Ora sono in tante, mi accerchiano. Vogliono anche il mio posto, è chiaro. Cedo alla pressione di una signora grintosa col fazzoletto in testa, poi un omino calvo con valigetta rosicchia centimetri che ritiene preziosissimi. Rumore crescente di ferro e macchina: arriva il treno. Investito dall'aria, sono spettatore di un montaggio estremo: rammenti di visi, corpi e colori, colgo tutto e niente. Sbuffi e ferro, il montaggio rallenta, il treno si ferma.
Finestrini come schermi raccontano mille storie diverse. Raccontano di lavori pesanti e frustranti, di noia e stanchezza. Del desiderio di tornare. A casa, in superficie.
Giro lo sguardo: uno degli schermi mostra una creatura. Non sembra una di loro.
E' mora, coi capelli raccolti. Un golfino nero le protegge le spalle e lascia incustodito almeno metà seno, rotondo, generoso. La bocca serrata non tradisce emozioni, ma i suoi occhi sono vivi, coscienti, curiosi. Salirò e le andrò vicino, fingendo indifferenza, aspettando il momento propizio. Un sospiro, ecco la mia occasione:”Stanca?”. Sarà difficile farla uscire dall'iniziale diffidenza, ma quando sarà riuscito ad ottenere un primo sorriso, allora potrò sbilanciarmi, fare una battuta. Con cautela, per non dare un'idea sbagliata. Scopriremo di dover scendere alla stessa fermata e risaliremo insieme verso la luce. Di nuovo nel mondo di superficie, tra chiacchiere gradevoli e qualche silenzio. Condivideremo ovvietà sulle giornate che si accorciano, il freddo, l'arrivo dell'inverno. Parleremo ancora alla fermata dell'autobus, le risate si faranno più frequenti e
sonore. Sulla vettura qualche imbarazzo. La solita vecchia carica di buste brontolerà per l'ennesimo ritardo, l'autista risponderà con brusche frenate. Tutto sarà sospeso, fino a quella frase: “Alla prossima devo scendere”. Parentesi che si chiude. Invece no, lei mi sorprenderà con l'offerta di un numero di telefono, da richiamare al più presto. Non così presto, ripensandoci. Farò passare qualche giorno, il tempo di creare l'attesa, di farle domandare:”Chissà se chiamerà”. Tempo dopo mi svelerà le sue forme, il suo corpo premerà contro il mio. La sua voce al telefono diventerà familiare, i suoi sguardi e i suoi silenzi più comprensibili. Parlerà di me alle sue amiche:”Lui non è come gli altri...”. Uno sbuffo pesante. Si spalancano le porte. Un flusso fuoriesce dalle carrozze, un altro vi entra. Effetto centrifuga, indietreggio. Cerco un varco. Una formica si smarca e si incunea, il mio posto è suo. La creatura mora fa appena in tempo a cogliere il mio sguardo interessato. Le porte si chiudono. I finestrini si allontanano lentamente,
ricominciano a sfilare davanti ai miei occhi. Riparte ilmontaggio, sempre più veloce, sempre più incomprensibile. Tabellone luminoso: 4 minuti al prossimo treno.

5 commenti:

Unknown ha detto...

Grazie a Laura, che ogni tanto mi riporta ai miei sogni. O alla realtà?

Anonimo ha detto...

La critica che più ho ricevuto in vita mia è che sono troppo sognatrice/testa tra le nuvole. Sai, Simeo, cosa rispondo a ciò? Siete voi che lo siete troppo poco!!!
Come fai a cambiare qulacosa, o lasciare un segno, se non hai la capacità di IMMAGINARE? Di osare, di creare, di sognare?
Adoro le persone pratiche, proprio perchè sono per me un mondo sconosciuto e misterioso, ma penso che loro, senza di me, non andrebbero da nessuna parte... :)
Laur(e)a

l'altra effe ha detto...

L'ho letto tutto d'un fiato. Ed è raro che qualcosa mi attragga così tanto in un periodo come questo, col gran caldo che fa! Atmosfere metropolitane, un pò surreali..Sogni e fantasie quanto basta..:-) Mi è piaciuto molto! Mi piace come sogna Simone! :)
Il fatto è che io, che non sono per niente pratica, non ho abbastanza fantasia per scrivere cose così. Mi viene solo qualche parola in forma di poesia. Ma niente di più. :)
Ciao
F.

Anonimo ha detto...

Per F.
E mi hai detto poco!
Ho letto delle tue bellissime poesie! Ne ricordo una proprio sul tema...o sbaglio..?
Laura

l'altra effe ha detto...

..non sbagli..qualcosa sui sogni, si..Ma è quello che è..niente di più.
Grazie comunque per quello che dici. E anche per quello che si può leggere, di bello, qui da te :)
Ciao,
F.